Niscemi, la mafia e il Muos

Appalti milionari alle aziende contigue alla mafia a Comiso e a Si­gonella. E a Niscemi?
L’Annesso al Memorandum d’intesa Italia-USA del 2 febbraio 2005, re­lativo alle installazioni concesse in uso alle forze armate USA, al capitolo XI preve­de che nel caso di acquisti di beni o ser­vizi in Italia, i Comandi mili­tari statu­nitensi esaminino la possibilità di adot­tare «procedure simili a quelle del­le forze armate italiane, comprese quel­le previste dalla normati­va antima­fia». La contorta formulazione non obbliga pur­troppo il Dipartimento della Difesa a uni­formarsi alla legislazione nazionale contro l’infiltrazione criminale negli ap­palti e nei subappalti. Il processo di mili­tarizzazione e la proliferazione di basi USA e NATO in Sicilia hanno contribuito così a rafforzare il potere economico e po­litico delle orga­nizzazioni criminali, pro­postesi sin dallo Sbarco Alleato del 1943 come un partner credibile di Washington per il controllo sociale dell’Isola. La costruzione della base missilistica nucleare a Comiso o i programmi “Mega” a Sigonella per con­solidare il suo ruolo strategico nel Medi­terraneo hanno assicu­rato affari mi­lionari alle aziende contigue a Cosa No­stra. Processi analoghi si sono sviluppati an­che a Niscemi con l’insediamento della stazione di radio-telecomunicazione della Marina USA tra la fine degli anni ‘80 e i primi anni ’90 e, con evidenza maggiore, nel corso dei lavori di sbancamento e rea­lizzazione delle piattaforme del MUOS.
Qui comanda la mafia!
Da tempi remoti la città di Niscemi è soggetta al dominio di potenti e sanguina­rie organizzazioni mafiose. «Per la posi­zione geografica che la col­loca al confine fra le province di Caltanis­setta e Ragusa e per la sua notevole vici­nanza alla città di Gela, Niscemi funge da idoneo crocevia di affari criminali, nel quale vengono a convergere i sodali delle varie associazio­ni mafiose, operanti pre­valentemente nel­la parte meridionale della provincia nisse­na», rilevano i magistrati del Tribunale di Catania nell’ordinanza di custodia caute­lare emessa nella primavera del 2013 con­tro alcuni boss locali.
Le cosche niscemesi
L’importanza della mafia niscemese nel panorama criminale dell’Isola e le sue ca­pacità di penetrazione nel tessuto socioe­conomico sono note però da oltre vent’anni. «La mafia di Ni­scemi è affidata ad una potente organizza­zione che conta un centinaio di affiliati, con rilevanti pre­senze nella vita poli­tico-amministrativa dell’ente locale», si legge nella relazione della Commissione Parla­mentare Antima­fia in visita nella provin­cia di Caltanisset­ta nel dicembre 1994. «Le presenze più significative si ricono­scono nella cosca di Bartolo Spatola, col­legata con le organizzazioni operanti nel catanese e nella cosca di Salvatore Russo con collegamenti a Scoglitti, Gela, Mila­no, Bollate e Venegono Superiore, oltre che in Germania (Metzinge) e in Belgio». I clan si sono fatti la guerra sempre e con ogni mezzo, alleati gli uni con Cosa Nostra, gli altri con la cosiddetta “stidda” sorta a Gela a seguito della fuoriuscita di alcuni esponenti dalle cosche storiche lo­cali. Una guerra efferata per il controllo degli appalti pubblici, del traffico degli stupefacenti e delle estorsioni, pagata con un incomparabile tributo di sangue: dal 1987 al 1992 nella provincia di Caltanis­setta si registrarono 235 omicidi e circa 200 tentati omicidi, 27 i morti am­mazzati nella sola Niscemi. «In quegli anni la cittadina nissena era vittima di un’inaudita ferocia omicida», scrive il giornalista Sebastiano Gulisano nel volume La morte e la speranza. Ni­scemi, una storia siciliana, pubblicato nel dicembre 1997.
Il libro di Gulisano
«Si moriva al bar e dal barbiere, nei vi­coli bui e isolati o tra la folla durante i fe­steggiamenti della Patrona. Una guerra che ha scandito gli anni ‘80 ed i primi del decennio ‘90, investendo anche regioni lontane dalla Sicilia come Lombardia, Emilia Romagna e Liguria». L’ecatombe non risparmiò neppure i bambini: il pome­riggio del 27 agosto 1987, durante un con­flitto a fuoco tra killer di mafia, furono falcidiati mentre giocavano in strada Giu­seppe Cutroneo e Rosario Montalto, ri­spettivamente di nove e undici anni d’età. A fronteggiarsi al tempo c’erano le “fa­miglie” degli Arcerito, degli Spatola e dei Paternò (Cosa Nostra) e quelle dei Russo, dei Vacirca e dei Campione alleate degli “stiddari”. Come ricorda ancora Sebastia­no Gulisa­no, la guerra di mafia scoppiò il 30 aprile 1983 con l’omicidio di Salvatore “Totò” Arcerito, boss legato ai vecchi ca­pimafia del dopoguerra in provincia di Caltanis­setta: Calogero Vizzini, Giu­seppe Genco Russo e Giuseppe Di Cristi­na.
I due tronconi del clan
La morte del patriarca determinò una frattura all’interno della “famiglia” nisce­mese: il clan si divise in due tronconi che si fronteggiarono militarmente, quello ri­masto fedele agli Arcerito e agli Spatola e quello che fu diretto da Giuseppe Di Mo­dica e Giuseppe Carcica, l’uomo accusato dell’uccisione di Totò Arcerito. Caddero via via sotto il fuoco nemico alcuni perso­naggi “eccellenti”: Vittorio Scifo, ad esempio, noto come il “mago di Tobruk”, assassinato l’11 luglio 1983 davanti all’ingresso del suo bar nella centralissi­ma piazza Vittorio Emanuele, o il boss Giuseppe Spatola, morto il 15 ottobre del­lo stesso anno in un agguato che causò il ferimento accidentale di uno studente e due ragazze di passaggio. Dopo un’effimera tregua tra le parti, il conflitto riesplose più violento nell’estate del 1990: in meno di cinque mesi furono assassinate a Niscemi sette persone, Giu­seppe Vacirca, Giuseppe Trainito, Carme­lo Valenti, Gaetano Campione, Giuseppe Falcone, Roberto Bennici, e Gaetano Bar­toluccio, mentre scamparono miracolosa­mente alla morte Giuseppe Pepi e Giusep­pe Amedeo Arcerito. Per la loro efficienza militare, i killer niscemesi furono impie­gati dagli “stidda­ri” nell’azione stragista verificatasi a Gela il 27 novembre 1990, quando furono ese­guiti quattro agguati in luoghi differenti, tra cui una sala giochi del Corso Vittorio Emanuele, con la morte di otto persone e il ferimento di altre undi­ci.
Nell’istruttoria sulla strage
La ricomposizione dei clan, vide emer­gere come dominus incontrastato della “famiglia” di Niscemi fedele a Cosa No­stra il pregiudicato Giancarlo Giugno, il cui nome compare persino nell’istruttoria sui telefonini usati per la strage di Capaci del maggio 1992, quando morirono il giu­dice Giovanni Falcone, la moglie France­sca Morvillo e gli agenti Rocco Dicillo, Antonio Montinaro e Vito Schifani. Il suo curriculum criminis si apre con un arresto il 23 dicembre ’84 su ordine della Pro­cura di Caltagirone per l’accusa di associazion­e per delinquere di stampo mafio­so. Il 12 gennaio 1986 Giancarlo Giugno ricevette un provvedimento di diffida dal­la Questura di Caltanissetta; cinque anni più tardi fu nuovamente arrestato nell’ambito dell’operazione antimafia “Leopardo” scaturita a seguito delle di­chiarazioni di alcuni collaboratori di giu­stizia, tra cui Leonardo Messina. A Giu­gno che all’epoca ricopriva l’incarico di consigliere comunale della Democrazia cristiana, fu contestato il rea­to di favoreg­giamento personale perché sorpreso in compagnia del latitante Ales­sandro Barbe­ri di Gela, personaggio di ri­lievo della mafia nissena. Il 15 aprile 1999, Giancar­lo Giugno fu condannato a 8 anni di reclu­sione per associazione ma­fiosa con sen­tenza della Corte d’Appello di Caltanis­setta. Una condanna ancora più pesante (10 anni di reclusione per costitu­zione, di­rezione e finanziamento di asso­ciazione fina­lizzata al traffico illecito di stupefa­centi) giunse invece il 13 maggio 2004, ancora una volta dalla Corte di Cal­tanissetta. Al pregiudicato fu inflitto infi­ne il soggiorno obbligato nelle Marche.
Cercava di intimidire i pacifisti
Rientrato qualche tempo dopo a Nisce­mi, Giugno riprese il suo ruolo guida del clan di mafia, godendo di un’illimitata li­bertà di movimento nella cittadina e nei comuni limitrofi. Lo si poteva incontrare quotidianamente al bar o in piazza, solo o in compagnia di noti pregiudicati o di sti­mati e incensurati professionisti locali. Nelle fasi più calde della protesta contro il MUOS, il boss era lì a intimidire con la sua ingombrante presen­za i giovani attivi­sti del Comitato No MUOS. Sono ancora in molti che lo ricor­dano assistere ai flash mob di controinformaz­ione tra le vie del paese e, nel gennaio 2013, aggirarsi impunemente all’interno del presidio di contrada Ulmo da dove partivano le azioni di blocco dei mezzi impiegati nei lavori alla base militare. Inaspettatamente, il 16 febbraio 2013 Giancarlo Giugno è stato arrestato dalla Squadra mobile di Caltanissetta con l’accusa di essere stato tra i mandanti dell’assassinio di Roberto Bennici e del tentato omicidio di Francesco Nanfaro, due affiliati alla “stidda” raggiunti dai kil­ler il 23 ottobre 1990.
Un altro omicidio
Due mesi più tardi Giugno è stato rag­giunto in carcere da un altro mandato di custodia cautelare emes­so su richiesta del­la Direzione Distrettuale Antimafia di Ca­tania nell’ambito dell’inchiesta su un altro grave fatto di sangue accaduto durante le feste patronali dell’agosto 1991: il duplice omicidio di Paolo Nicastro e Salvatore Campione, esponenti locali della “stidda”. Dopo il provvedimento, i funzionari del Ministero della Giustizia hanno decretato il regime del carcere duro (41bis) nei con­fronti di Giancarlo Giugno; nel luglio 2013, la Questura di Caltanissetta ha inve­ce ordi­nato il sequestro dei beni intestati. La pa­rabola criminale del mafioso di Ni­scemi è forse finita a metà settembre: se­condo quando trapelato sulla stampa, Giu­gno avrebbe avviato una collaborazio­ne con gli inquirenti delle Procure di Ca­tania e Caltanissetta, rivelando particolari ine­diti sulla lunga guerra di mafia nel trian­golo Gela-Niscemi-Vittoria e sulle collu­sioni di politici e imprenditori locali con la crimi­nalità organizzata.
L’infiltrazione nei cantieri
A Niscemi sono in tanti ad augurarsi che il pregiudicato apra uno squarcio sulle oscure vicende legate all’assegnazione dei subappalti per i lavori all’interno della stazione NRTF o alla fornitura di beni e servizi alle forze armate statunitense in questi ultimi vent’anni. Alle opere del MUOS, in qualità di su­bappaltatrice, ha partecipato ad esempio la “Calcestruzzi Piazza S.r.l.”, società sot­to osservazione degli inquirenti per pre­sunte contiguità criminali. L’azienda si è aggiudicata la movimentazione terra, la fornitura di ce­mento e la costruzione dei basamenti per le maxi antenne. A riferirlo per primo, il giornalista Gio­vanni Tizian in un articolo pubblicato il 2 novembre 2011 su l’Espresso. «La Calce­struzzi Piazza S.r.l. è riconducibile all’imprenditore Vincenzo Piazza, persona associata al boss Giancar­lo Giugno», scrisse Tizian. Nel 2009 Piaz­za aveva però trasferito la carica di ammi­nistratore unico dell’azienda alla moglie Concetta Valenti. Il 14 febbraio 2012, il senatore Giusep­pe Lumia ha presentato un’interrogazione ai ministri della Difesa e dell’Interno, ri­ferendo in particolare che la Direzione Di­strettuale Antimafia di Caltanissetta e «al­tri elementi info-investigativi» aveva­no documentato i legami di Vincenzo Piazza con il boss Giancarlo Giugno. «Nel corso dell’indagine Atlantide-Mer­curio della Procura di Caltanissetta (gen­naio 2009), sono emersi contatti del Piaz­za con espo­nenti mafiosi che evidenziano ingerenze e condizionamenti di Cosa No­stra nell’appalto per i lavori di recupero, con­solidamento e sistemazione a verde dell’area sottostante il Belvedere, com­missionati dal Comune di Niscemi», ha evidenziato Lumia. Vincenzo Piazza fu poi denunciato con Giancarlo Giugno per associazione mafiosa nell’ambito dell’operazione Triskelion, eseguita nel febbraio 2010 dalla DDA e dal GICO del­la Guardia di finanza di Caltanissetta con­tro una “cellula” mafiosa della provincia di Enna operante in Lombardia e Bel­gio.
“Condizionare le scelte”
Il 7 novembre 2011, tre mesi prima che l’azienda di Vincenzo Piazza fosse presa di mira dall’interrogazione del sen. Lu­mia, la Prefettura di Caltanissetta comuni­cò che dopo le verifiche disposte dalle normative in materia di certificazione an­timafia erano «emersi elementi tali da non potere escludere la sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condi­zionare le scelte e gli indirizzi della sopra­citata società». Alla base del pronuncia­mento, i conte­nuti di due rapporti della Questura di Cal­tanissetta, rispettivamente del dicembre 2010 e dell’ottobre 2011. A seguito dell’intervento prefettizio, il 25 novembre 2011 il dirigente dell’Area ser­vizi tecnici della Provincia regionale di Caltanissetta decretò la sospensione della “Calcestruzzi Piazza” dall’albo delle im­prese per le pro­cedure di cottimo-appalto. Venti giorni dopo anche il Capo ripartizio­ne per gli Af­fari generali del Comune di Niscemi di­spose l’esclusione della società dall’elen­co dei fornitori e dall’albo delle imprese di fiducia. Contro i provvedimen­ti, la fa­miglia Piazza presentò ricorso al TAR. «La conoscenza o la frequentazione di Giancarlo Giugno da parte di Vincenzo Piazza non ha influenzato le scelte perso­nali del secondo, che invece sono state di segno esattamente opposto rispetto alla vicinanza ad un comportamento mafioso», hanno scritto i legali della “Calcestruzzi”. «Non si comprende, dun­que, secondo quale passaggio logico il primo avrebbe sul secondo un’influenza così profonda ed estesa, da fare ritenere probabile l’intro­missione nella gestione della società, di cui peraltro il secondo non è socio né am­ministratore».
Un’auto-assoluzione
Le di­chiarazioni degli avvocati produs­sero co­munque l’effetto di tranquillizzare il Di­partimento della Difesa, il Comando USA di Sigonella, l’Ambasciata degli Sta­ti Uniti a Roma e il Consorzio Team MUOS Niscemi: nessuno intervenne, in­fatti, per imporre il rispetto della legisla­zione anti­mafia e di quanto previsto in tema di for­nitura di beni e servizi dall’Accordo bila­terale Italia-USA del 2005. Il 23 maggio 2013 i diplomatici di via Veneto pubblica­rono invece una nota auto-assolutoria. «Gli Stati Uniti sono un grande alleato delle forze dell’ordine ita­liane nella lotta alla criminalità organizza­ta in tutto il mondo. Ci siamo assicurati che tutti gli appaltatori e sub-appaltatori coinvolti nel­la costruzione del MUOS avessero le ap­propriate certificazioni “anti-mafia” e che non fossero legati al crimine organizzato. Queste certificazioni sono state convalida­te dalla Regione Sici­lia prima che il Mini­stero della Difesa ita­liano ricevesse i ne­cessari permessi per costruire».
Ma il TAR nega la sospensione
Il 7 novembre 2012, il TAR di Palermo esaminò il ricorso contro il provvedimen­to della Prefettura che aveva privato della certificazione antimafia l’azienda dei Piazza. «Atteso che nell’informativa pre­fettizia (misura cautelare preventiva, che pre­scinde dagli accertamenti penali)è stata espressa una valutazione in linea con i ri­scontri istruttori, riferibili al contesto fa­miliare di riferimento, agli intrecci azien­dali tra gli stessi componenti il nu­cleo fa­miliare, e alle frequentazioni e cointeres­senze economiche con soggetti controin­dicati», il TAR respinse la do­manda di so­spensione presentata dagli im­prenditori.
Politica, affari e militarizzazione
Le illegalità all’interno dei cantieri del MUOS e l’arroganza dei potentati crimi­nali hanno sensibilmente ridotto l’agibilità democratica nella città di Niscemi: il cli­ma politico e sociale è tornato a farsi pe­sante come al tempo delle guerre di mafia, quando i boss criminali condizionavano pesantemente le istituzioni locali. Presen­ze talmente ingombranti da sof­focare la vita amministrativa e costringere il Go­verno a decretare lo scioglimento del Co­mune di Niscemi due volte in meno di do­dici anni, la prima il 18 luglio 1992, il giorno prima dell’assassinio del giudice Borsellino e della sua scorta, la seconda il 27 aprile 2004.
Uno stato di soggezione
«La situazione ammini­strativa risulta caratterizzata da rilevanti fenomeni di in­stabilità politica, determi­nati dalla grave situazione dell’ordine pubblico, che han­no determinato il susse­guirsi di tre giunte comunali, la prima del­le quali è stata pre­sieduta dal sindaco dott. Rizzo Paolo, le­gato da vincoli di parentela con esponenti della criminalità locale», ri­portò il primo decreto di scioglimento a firma dell’allora ministro dell’Interno Ni­cola Mancino. Uno stato di soggezione, intimidazione e connivenza degli ammini­stratori locali registrato soprattutto nel settore degli ap­palti di opere pubbliche e servizi. Dello stesso tenore le motivazioni del secondo scioglimento per infiltrazione mafiosa.
“Influenzano il Comune”
«Le indagini svolte hanno pale­sato la capacità di influenzare l’attività del Co­mune di Niscemi e nonostante l’antece­dente scioglimento, la permanenza di sog­getti riconducibili in via diretta o indi­retta ad ambienti malavitosi, che già al tempo avevano orientato le scelte dell’ente», si legge nel decreto firmato nel 2004 dal mi­nistro Giuseppe Pisanu. «Nel quadro com­plessivo, caratterizzato da un atteggia­mento silente ed inattivo manife­stato da­gli amministratori, riconducibile alla ri­nuncia a contrastare il pericolo di tentativi di infiltrazione, rileva la figura dell’ex sindaco di Niscemi, cui viene ri­condotta la direzione ed organizzazione del sodali­zio criminoso, nonché il pieno controllo dell’attività amministrativa co­munale, con l’intento di privare dei poteri l’attuale sin­daco». L’influente politico accusato di tenere le fila del crimine era ancora il medico Pao­lo Rizzo, dirigente Dc di corrente andreot­tiana (dal 2004 Udc), ma soprattutto co­gnato del boss Giancarlo Giugno e di Sal­vatore Paternò, figlio del “patriarca” An­gelo Paternò, denunciato il 18 dicem­bre 1984 alla Procura di Caltagirone per asso­ciazione mafiosa. Giugno e Pater­nò hanno sposato due sorelle dell’ex sin­daco Rizzo. Due matrimoni celebrati alla pre­senza di ospiti “eccellenti”. Come attestat­o in un’udienza del processo “Iblis” su mafia e politica nell’area del calatino, alle nozze di Salvatore Paternò e Renata Rizzo parte­ciparono nel 1983 come testimoni il rap­presentante di Cosa Nostra nissena don Giuseppe “Piddu” Madonia e il futuro go­vernatore “autonomista” della Sicilia, Raffaele Lombardo. Come per i due cognati, anche la fedina penale di Paolo Rizzo è macchiata da pe­santi procedimenti giudiziari. L’ex sinda­co fu arrestato con l’accusa di associazio­ne mafiosa nell’ottobre del 2004 nell’ am­bito dell’operazione Apogeo con altri quattro tra ex assessori e consiglieri co­munali di Niscemi. In seguito alle indagi­ni, il Ministero dell’Internò firmò il se­condo scioglimento del Comune di Nisce­mi; il processo si concluse però con l’assoluzione degli imputati per un vizio procedurale: i giudici ritennero inutilizza­bili le intercettazioni perché eseguite «in modo non conforme alla legge».
L’affaire Olmo SpA
Paolo Rizzo guidò il Comune di Nisce­mi ininterrottamente dal 1985 al settem­bre 1991 (prima come assessore e dal giu­gno 1988 come sindaco), periodo in cui furono avviati in contrada Ulmo i lavori di realizzazione della stazione NRTF della Marina USA. Ma in quegli anni altri im­portanti incarichi nell’amministrazione comunale furono ricoperti dai congiunti di personaggi ritenuti vicini a Cosa Nostra. «L’appropriazione della cosa pubblica è più stretta ed organica», scrisse la Com­missione Parlamentare Antimafia dopo la sua visita a Niscemi nel 1994. «I boss più noti della zona, nomi come Salvatore Ar­cerito e Angelo Paternò, con una sorta di nepotismo e grazie alla loro forte influen­za sulla vita politica ed amministrativa, hanno piazzato nei posti chiave della bu­rocrazia comunale loro parenti. I vertici dell’ufficio tecnico e della ragioneria e lo stesso ex segretario comunale ed ex sinda­co avevano rapporti di parentela con per­sonaggi legati alla mafia. Al controllo del territorio si è aggiunto, quindi, anche il controllo dell’amministrazione». Dalla lettura degli atti catastali risulta che i terreni destinati a ospitare le antenne militari USA furono venduti nel settembre 1988 al Ministero della Difesa dall’Olmo S.p.A. di Acireale (poi trasferita a Cata­nia), società con oggetto la trasformazione industriale di prodotti alimentari che fece però da vera e propria agenzia di compra­vendita immobiliare. Indicativa l’origine etimologica del nome della società per azioni. Niscemi deriva, infatti, dall’arabo nasciam che significa “olmo”. Creata il 5 ottobre 1973 con un capitale deliberato e sottoscritto di 120 milioni di vecchie lire, l’Olmo S.p.A. era ammini­strata dall’imprenditore Antonino Patti, originario di Belpasso. L’anno seguente alla costituzione, la so­cietà acquisì 440 et­tari di terreni in buona parte boschivi, rile­vandoli dal Consorzio nazionale per il credito agrario di miglio­ramento con sede a Roma e dalla famiglia niscemese dei Masaracchio, di antiche origini nobiliari (a vendere, nello specifi­co, fu Gioacchino Masaracchio). Alcune particelle furono acquistate infine dalla Società Industriale Zootecnica Agricola S.p.A. di Catania.
Conclusa la vendita delle proprietà im­mobiliari al Ministero della Difesa, l’Olmo S.p.A. fu messa in liquidazione (liquidato­re fu nominato tale Agatino Ca­tania). La costruzione delle prime infra­strutture all’interno della base NRTF risa­le al 1990: i lavori furono affidati dall’US Navy alla CEAP dei Fratelli Costanzo di Catania, azienda nella titolarità di uno dei quattro cavalieri dell’Apocalisse mafiosa, come Giuseppe Fava soleva indicare l’establishment imprendito­riale-criminale che dalla fine degli anni ’70 ai primi anni ’90 esercitò il controllo su buo­na parte dell’economia siciliana.
Con la “protezione” dei mafiosi locali
Le opere comportarono una modifica della morfologia del territorio attraverso il taglio di tutte le specie vegetali, comprese le grandi querce plurisecolari della “Su­ghereta”. Un processo di desertifica­zione e annientamento dei corridoi ecolo­gici che non incontrò ostacoli amministra­tivi-burocratici né fu oggetto di denunce o proteste. Non poteva essere diversamente anche perché la militarizzazione della va­sta area destinata a riserva naturale si svolse sotto la “protezione” dei potentati mafiosi locali. Da allora le élite poli­tico-criminali sono state un partner affidabile dei militari USA per esercitare il pieno dominio di un territorio convertito in avamposto di guer­ra e di morte. Perlome­no sino all’avvento del MUOS, quando centinaia di giovani e donne di Niscemi hanno potuto riscoprire, attraverso la lotta ai nuovi piani di egemo­nia globale degli Stati Uniti d’America, una propria identità comunitaria.
Novembre 2013 Antonio Mazzeo
http://antoniomazzeoblog.blogspot.it/2013/11/niscemi-la-mafia-e-il-muos.html

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