Alla sughereta si andava per passeggiare, visitare un luogo unico per bellezza e biodiversità, consumare un pic nic, fare trekking, praticare ippica ed escursioni in mountain bike. Almeno fino a quando la presenza del MUOS e la massiccia militarizzazione l’hanno reso pressoché impraticabile alla libera fruizione dei cittadini e dei turisti.
E se a praticare il trekking sono i No MUOS, si mobilitano contingenti interi di uomini in armi che fanno di tutto per dissuaderli e trascinarli in tribunale.
Sulla recente sentenza del tribunale di Gela riportiamo la dichiarazione dell’unico condannato.
Dichiarazione sulla condanna inflittami dal tribunale di Gela
Giovedì 16 gennaio 2020 il tribunale di Gela mi ha condannato a 6 mesi di carcere per i fatti avvenuti durante il trekking No Muos del 21 agosto 2016. Vista la mole di imputazioni scaricate sui 24 compagni coinvolti in questa inchiesta, il fatto che, alla fine, io sia risultato l’unico condannato può essere di per sé considerato un fatto positivo.
Che io abbia offeso “l’onore e il prestigio” dei pubblici ufficiali (poliziotti in borghese senza nessun segno di riconoscimento) abbassandomi i pantaloni e mostrandogli il sedere, è senz’altro questione che va esaminata attentamente.
Gli operatori (poi risultati dei poliziotti) filmavano continuamente tutte le persone che si andavano concentrando per partecipare al trekking, girando attorno a loro in maniera provocatoria; all’arrivo di un pullman da Catania, la polizia impose all’autista di aprire solo la porta anteriore per consentire che tutti i presenti dentro il mezzo scendessero ad uno ad uno dall’unica uscita disponibile e in modo da poter essere filmati. La polizia ha giustificato questo suo operato come azione preventiva di eventuali reati…
Il mio gesto è stato senz’altro un segno di protesta verso questa sfacciata operazione di schedatura, che riguardava anche molti minorenni; ma non v’è alcun dubbio che si sia trattato anche di un modo divertente per dimostrare come vivano questa lunga battaglia contro il MUOS gli attivisti, cioè in piena allegria, affrontando in maniera assolutamente spensierata il clima serioso, tetro e minaccioso con cui le forze dell’ordine gestiscono gli eventi di protesta.
Ogni volta sono due mondi incomunicabili a contrapporsi, e loro non comprenderanno mai la nostra gioia di lottare, che a volte (come fu in quel caso) può rappresentare anche una maniera di smorzare la tensione che il loro atteggiamento produce.
La condanna va però vista anche sotto altri aspetti: chiudere il procedimento assolvendo tutti poteva rappresentare un segno di debolezza, invece condannandone almeno uno, si lanciava un segnale – l’ennesimo – verso chi si ostina a resistere alla militarizzazione americana del territorio siciliano. Che importa poi se lo stesso soggetto era già stato assolto per lo stesso “reato” in sede civile; o se, alla fin fine, l’unico fatto che ha “turbato” l’ordine pubblico quel 21 agosto del 2016 sia risultato essere l’esposizione di un culo alle telecamere della polizia scientifica, intervenuta in forze con la celere e tutti i soliti apparati connessi, in Sughereta e dentro la base USA a difesa dell’impianto bellico dei Marines?
La Questura di Caltanissetta da tempo ha fatto proprio il detto di Mao Zedong “colpiscine uno per educarne cento”, e così andiamo avanti a colpi di arresti (Turi Vaccaro), fogli di via, condanne, procedimenti giudiziari, come se una lotta come questa si potesse ridurre ad un contenzioso giuridico.
E che non si può ridurre a questo lo dimostrano gli anni di battaglie a Niscemi per far chiudere una base di morte, ma lo dimostrano ancora di più tutte le resistenze in atto in Italia, con gli arresti e la repressione che le colpiscono, che però, più che smorzarle, le alimentano di rabbia e di consapevolezza.
Pippo Gurrieri
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