- I progetti arrivati dai ministeri per l’elaborazione del Recovery plan svelano che la scuola trova poco spazio, mentre dietro le espressioni “sostenibilità” e “transizione verde” si nasconde l’ampliamento dell’industria bellica.
- Il ministero dello Sviluppo economico ad esempio classifica la sua richiesta per potenziare la «filiera industriale aerospaziale e della difesa» sotto l’etichetta «industria sostenibile».
- Con 12,5 miliardi, pari al costo per l’impiego annuale di 300mila insegnanti, potremmo risolvere i problemi urgenti della scuola italiana. Ma per il governo la priorità è produrre aerei di attacco.
Doveva essere un Recovery plan incentrato su scuola, sanità e sfida ai cambiamenti climatici, ma rischia di diventare il Piano per la competitività del sistema produttivo. Armi comprese. Nelle linee guida presentate il 16 settembre, il governo italiano indica sei missioni: 1) digitalizzazione, innovazione e competitività del sistema produttivo; 2) rivoluzione verde e transizione ecologica; 3) infrastrutture per la mobilità; 4) istruzione, formazione, ricerca e cultura; 5) equità sociale, di genere e territoriale; 6) salute.
Il rischio, però, è che le ultime tre finiscano con l’essere le cenerentole del Recovery plan. Questa è l’impressione che si ha scorrendo i 557 progetti candidati dai diversi ministeri alla selezione per il finanziamento europeo: una corposa lista che include, come precisato dal ministro Enzo Amendola, anche «ipotesi già ampiamente superate», ma che dà importanti indizi sui desiderata delle diverse amministrazioni. Poiché meno di un terzo di questi progetti potrà essere presentato a Bruxelles – la lista ammonta a 677 miliardi contro i 209 a disposizione dell’Italia -, ci sono ancora margini per un cambio di rotta. Magari nella direzione indicata da Ursula von der Leyen per rimettere in piedi l’Unione europea: sanità, clima e digitale. Con il 37 percento dei fondi del Recovery fund vincolato a politiche verdi.
Nel listone, la parte del leone la fa il ministero dello Sviluppo economico, che arriva a sommare richieste pari a 221 miliardi di euro, scesi a 153 miliardi nelle schede dettagliate inviate dal MiSE al dipartimento Politiche europee il 27 agosto. I progetti del ministero dell’Istruzione, invece, si fermano a poco meno di 27 miliardi di euro; quelli del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali non arrivano a 30 miliardi, quelli del ministero della Salute superano di poco i 64 miliardi.
La stessa marginalità può essere riscontrata nelle parole chiave: “scuola” e “scuole” compaiono solo 24 volte in tutta la lista, “Covid” 23 volte, salute 54, “sociale” solo 28; “cambiamenti climatici” 13 volte. Il termine “sostenibile”, invece, è molto diffuso (141 volte al singolare, 46 al plurale), ma non sempre a proposito. Eclatante il caso del ministero dello Sviluppo economico che classifica la sua mega richiesta per potenziare la «filiera industriale aerospaziale e della difesa» – compresi i velivoli di attacco – sotto l’etichetta «industria sostenibile».
In pratica il dicastero di Stefano Patuanelli chiede 25 miliardi (ridotti a 12,5 nel documento del 27 agosto) per “consentire al comparto un salto tecnologico nella ricerca, nell’innovazione e nella costruzione di piattaforme duali ad elevatissime prestazioni, con ridotto impatto ambientale, totale sicurezza cyber ed innovazione digitale: elicotteri di nuova generazione FVL, aerei di sesta generazione, tecnologia sottomarina avanzata, tecnologia unmanned intersettoriale, I.A., navi”. Ovvero, secondo la Rivista italiana difesa: i cacciabombardieri multiruolo TEMPEST, i sottomarini U-212 NFS, le nuove unità anfibie, i nuovi cacciatorpediniere e gli elicotteri di nuova generazione FVL, «una sorta di F-35 ad ala rotante». Chi già faticava a digerire la mancata sospensione dell’acquisto dei cacciabombardieri della Lockheed Martin malgrado la crisi economica e l’emergenza sanitaria, rischia ora di dover ingoiare anche l’acquisizione dei suoi “fratelli” ad ala rotante. Addirittura con i soldi del Recovery. Che sarebbero dirottati dal MiSE anche su Tecnologie emergenti e Space Economy.
Non meno inquietante la comparsa dei termini “intelligenza artificiale” e “unmanned” (senza equipaggio), che, in un contesto di difesa e sicurezza, possono riferirsi allo sviluppo dei famigerati “killer robots”: armi pienamente autonome in grado di uccidere potenziali nemici senza alcun controllo umano. Un’evoluzione che ha già sollevato preoccupazioni sia all’Onu sia tra le Ong a tutela dei diritti umani, che infatti hanno lanciato una campagna per fermarli (“Stop killer robots”). Anche il ministero della Difesa richiede fondi per l’intelligenza artificiale, oltre che per la cybersicurezza, il 5G, la digitalizzazione, l’addestramento “sintetico”, lo spazio, la “mobilità sostenibile” e “l’energia pulita”. La svolta green, il dicastero di Lorenzo Guerini la interpreta essenzialmente come acquisto di mezzi elettrici/ibridi ed efficientamento energetico di reti e infrastrutture. Da Palazzo Baracchini, sede del ministero della Difesa, non è arrivata nessuna proposta per affrontare scenari in cui la sicurezza delle persone sia minacciata da eventi naturali o da nuove pandemie (salvo un progetto di deep learning che, tra le diverse funzioni, potrebbe in periodo Covid “segnalare persone troppo vicine tra loro, assembramenti, ingresso in edifici di persone senza mascherina”). Totale richiesto dalla Difesa: 15 miliardi di euro.
«Troviamo insensato che questi progetti concorrano ai fondi per la ripartenza quando – se guardiamo alla situazione reale del Paese – gli ospedali rischiano nuovamente di riempirsi di malati di Covid-19 e tantissime scuole hanno iniziato le lezioni senza banchi o docenti» dice Chiara Campione, portavoce del progetto #Restart: le persone e il pianeta prima del profitto, di Greenpeace Italia.
Secondo i dati diffusi dal ministero dell’Istruzione, le cattedre rimaste scoperte al 17 settembre erano 66.654. Il commissario Domenico Arcuri ha dichiarato che sono state consegnate alle scuole 94 milioni di mascherine chirurgiche – a fronte di una popolazione studentesca di oltre 8 milioni di studenti, più un milione e mezzo di persone tra il personale docente e non docente -, ma molti istituti lamentano di non averne a sufficienza. «Entro fine ottobre, consegneremo 2,4 milioni di nuovi banchi», ha aggiunto Arcuri. Senza però, come denunciato da Openpolis, pubblicare tempestivamente i dati sulle forniture. E intanto mancano i soldi per lo screening sanitario in tempo reale di docenti e studenti. Problemi nuovi che si aggiungono a quelli pregressi: secondo gli ultimi numeri di Legambiente-Scuola, il 30 per cento degli edifici scolastici necessita di manutenzione urgente, oltre la metà non ha l’agibilità, circa l’8 per cento si trova in area sismica 1, la più pericolosa, senza un adeguamento antisismico. Come evidenziato anche dalle linee guida del governo, in Italia l’incidenza dell’abbandono scolastico è al 13,5% contro il 10,6% della media europea, mentre i risultati scolastici misurati da test internazionali sono inferiori alla media dei paesi Ocse e Ue.
«Con 12,5 miliardi, pari al costo per l’impiego annuale di circa 300mila insegnanti, potremmo finalmente risolvere alcuni dei problemi più urgenti della scuola italiana. Ma per il nostro Governo la priorità è produrre elicotteri e aerei di attacco», dice Campione.
A cura di Unità Investigativa Greenpeace
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